Two leader is megl che one
A volte sì.
Lo spiega Michael D. Watkins su Harvard Business Review: la co-leadership funziona solo se poggia su alcuni elementi essenziali:
● La complementarietà delle competenze, che permette di coprire ambiti diversi (strategia ed execution, contenuti e tecnologia, visione e governance);
● La chiarezza dei ruoli e dei processi decisionali, per evitare sovrapposizioni e rallentamenti;
● La fiducia reciproca, sostenuta da un board capace di gestire i conflitti e mantenere l’allineamento.
Gli esempi virtuosi non mancano: Netflix, con Ted Sarandos (contenuti) e Greg Peters (tecnologia); Gensler, dove Diane Hoskins e Andy Cohen hanno reso la co-leadership parte della cultura aziendale; o la recente Fremantle Italia, con Valerio Fiorespino e Alessandro Saba, che bilanciano solidità gestionale e visione editoriale.
Ma la storia insegna anche i rischi: Blackberry e SAP mostrano cosa accade quando le aree di responsabilità restano ambigue e le decisioni si bloccano.
Il commento del nostro Partner, Mario D'Angelo: "La storia ci racconta che le diarchie, quando ben congegnate, possono durare secoli. In azienda la co-leadership è un ponte intelligente per attraversare momenti cruciali – IPO, M&A, passaggi generazionali – più che un assetto definitivo. La ricetta resta la stessa: competenze complementari, regole di coordinamento cristalline e arbitri pronti a sciogliere i nodi. Così il doppio comando non solo regge, ma ispira fiducia e aiuta a gestire meglio rischi e complessità."