Un sondaggio del World Economic Forum (WEF) stima che 14 milioni di posti di lavoro andranno perduti in tutto il mondo nei prossimi cinque anni e quasi un quarto dei lavoratori cambierà lavoro, principalmente a causa dell’avvento di nuove tecnologie.
Ma la voce del WEF non è l’unica. Negli ultimi mesi sono cresciute le segnalazioni sull'impatto dell'AI sull’economia. In uno studio pubblicato alla fine di marzo, Goldman Sachs ha previsto che negli Stati Uniti e in Europa, le aree più colpite, quasi i due terzi dei posti di lavoro sono "esposti a un certo grado di automazione". Nel frattempo, Elon Musk e un gruppo di accademici propongono una moratoria di sei mesi sullo sviluppo dell’AI perché le prossime evoluzioni potrebbero causare “sconvolgimenti imprevedibili”. Coincidenza vuole che queste voci si alzino proprio mentre ChatGPT sta suscitando l'interesse del grande pubblico e l’AI sta risvegliando l'appetito dei mercati finanziari.
Marco Planzi, ingegnere e Partner di W Advisory, analizza il trend: “Partiamo dai numeri che, quando si parla di sondaggi, spesso non sono così oggettivi. Queste stime sono fragili e incerte, poiché l'adozione di nuove tecnologie è imprevedibile. Lo stesso WEF nel suo rapporto mette le mani avanti e ha osservato che "le imprese introducono l'automazione a un ritmo più lento di quanto previsto in precedenza". È un’automazione a due velocità: “le aspettative sulla sostituzione del lavoro fisico e manuale da parte dei robot sono diminuite. Il ragionamento, la comunicazione e il coordinamento - tutti tratti caratteristici degli esseri umani - dovrebbero essere più automatizzabili in futuro", spiega.
“E se dai numeri spostiamo l’attenzione sulla tecnologia, sul modo in cui viene raccontata contrapposto a come funziona davvero, ci accorgiamo che ciò chiamiamo "intelligenza artificiale" potrebbe essere meno artificiale e meno intelligente di quanto pensiamo. I sistemi di oggi (incluso ChatGPT, il preferito da tutti) traggono la loro forza dalla ricombinazione del lavoro di veri esseri umani: artisti, musicisti, programmatori, scrittori, scienziati e professionisti la cui produzione creativa e professionale viene ora espropriata digitalmente in nome della produttività. Nella peggiore delle ipotesi, almeno la base di partenza è "intelligenza non artificiale", continua Planzi.
“Alla fine succede, in qualche modo che prima non sapevi”
(cit. La solitudine dei numeri primi – Paolo Giordano)
Quindi, attenzione, è facile vedere solo il lato negativo delle cose e credere che tecnologie nuove e dirompenti uccidano il lavoro. Infatti, il potere della tecnologia di cambiare la natura del lavoro e di rendere obsolete alcune professionalità e interi business in questo processo di distruzione creativa non è una novità. Né lo è il fatto che la tecnologia possa creare nuove imprese, nuovi mercati e percorsi di carriera e offrire opportunità ai lavoratori di essere ancora più produttivi e innovativi.
Un rapido confronto sulla crescita della forza lavoro mondiale negli ultimi 30 anni evidenzia la rapidità con cui la trasformazione è in atto da quando il digitale ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio nelle nostre vite. Nel 1991, l’anno di nascita di Internet, circa 2,5 miliardi di persone partecipavano attivamente al mercato del lavoro. Oggi la forza lavoro ha raggiunto 3,5 miliardi di persone (una crescita di un miliardo di persone!). Questi numeri attraversano tantissime rivoluzioni tecnologiche raccontate come epocali spesso in senso negativo - dal mobile al cloud, dai social alla robotica – e mostrano come in realtà le opportunità legate alla rivoluzione digitale, qualunque forma abbia, non manchino affatto. Tra servizi e industria è nato un vero e proprio nuovo mondo economico che ha dato vita in pochi anni a una nuova generazione di settori, imprese e professioni.
Nei fatti, la trasformazione in corso ha un impatto enorme sulle competenze richieste per partecipare al mercato del lavoro e riguarda ogni anno centinaia di milioni di persone cui è richiesto di acquisire nuove competenze o aggiornare quelle possedute.
L’intelligenza artificiale non ruberà il lavoro. Se lo prenderà qualcuno che sa come utilizzare l’intelligenza artificiale.
Laura Cavallaro, ingegnere e Partner di W Advisory approfondisce lo scenario: “L’attenzione va quindi spostata dalla paura della tecnologia (che in ogni epoca si è sempre presentata, sin dall’opposizione operaia verso l’introduzione delle macchine nel XIX secolo) alla realizzazione di come la comprensione dell'AI possa rappresentare un'abilità fondamentale per le persone che desiderano restare nel mercato del lavoro. È il motivo per cui sedicenti formatori negli ultimi mesi hanno guadagnato decine di migliaia di dollari vendendo corsi online che insegnano come integrare ChatGPT nei loro flussi di lavoro. È anche il motivo per cui si parla di competenze emergenti come il “prompting”, la capacità di una persona di porre domande che consentono a un’AI di dare risposte accurate”, analizza Cavallaro.
Per questo, mentre entriamo nella nuova era dell’automazione e ci si interroga su come integrare l’AI nelle attività lavorative, il focus dovrebbe spostarsi su:
Nessuna tecnologia da sola ha mai reso un’impresa vincente. Nemmeno se pensiamo a Tesla o Alphabet.
Il magazine americano Fortune ogni anno pubblica un’interessante classifica sulle imprese più ammirate a livello globale in cui raccolgono facili preferenze di molti dei marchi più noti come Alphabet, Apple, Tesla, Starbucks, Walt Disney, Microsoft ecc.
L’aspetto interessante della classifica è connesso alle motivazioni per le quali vengono scelte determinate imprese dal panel di intervistati. Vengono lasciate da parte le tecnologie, l’efficienza dei processi, la solidità finanziaria, e ci si concentra perlopiù su alcuni aspetti come, ad esempio, la capacità di innovare o di rispondere ai desideri dei consumatori. Si tratta di vere e proprie risorse intangibili: non si possono toccare, ma fanno la differenza quando un’impresa compete sul mercato e vengono riconosciute quando se ne valuta il valore. E questi aspetti sono proprio il risultato di investimenti nell’assunzione di nuovo personale, nella formazione, nelle retribuzioni e in tutte le aree di competenza della Direzione Risorse Umane.
Planzi e Cavallaro sono unanimi: “Ecco, anche se non è stato scritto esplicitamente nero su bianco, forse il report del World Economic Forum vuole dirci proprio questo: l’AI non è una forza oscura che opera indipendentemente da visioni, obiettivi e valori umani. Mentre sperimentiamo come utilizzarla in modo responsabile e sostenibile, dobbiamo riconoscere e dare valore alle competenze umane che sono essenziali in ogni industry e dare la possibilità a ogni collaboratore di svilupparle”, concludono.
NOTA: garantiamo che il post è stato scritto da persone reali, mentre l’immagine è stata disegnata dall’intelligenza artificiale dream.ai in base alla richiesta “robot artist painting creatively as a human artist”.