La DEI sotto attacco: perché abbandonarla è miope e pericoloso

L'articolo, a cura di Michael Luciano, Direttore di WINclusion, e Marco Planzi, Partner di W Advisory, analizza il crescente abbandono dei programmi di Diversità, Equità e Inclusione (DEI) da parte di aziende e istituzioni, spesso sotto pressioni politiche e culturali. Questa fase così delicata, però, deve rappresentare un’opportunità per ripensare la DEI come leva concreta per performance e innovazione.

LEGGI DI PIÙ
La DEI sotto attacco: perché abbandonarla è miope e pericoloso

Nel momento in cui scrivo, il discorso programmatico del neopresidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha destato scalpore. Ha dichiarato apertamente il suo impegno a “fermare i woke” e a “mettere fine ai programmi di diversità, equità e inclusione nelle istituzioni pubbliche e private,” sostenendo che “crediamo nel sistema del merito.” Il momento clou del discorso? L’impegno a fermare i woke, accolto dal più forte applauso della serata.

Il vento di cambiamento non si è fatto attendere: nel corso del 2024, realtà come Meta, Amazon, l’FBI, Harley Davidson e Jack Daniels hanno annunciato la fine dei loro programmi di Diversity, Equity and Inclusion (DEI). Elon Musk, già un anno prima, aveva dichiarato senza mezzi termini: “DEI must DIE” (la DEI deve morire), sostenendo che dietro questa sigla si nascondeva solo il desiderio di sostituire la discriminazione contro le minoranze con quella contro le maggioranze.

 

DEI: un clima ostile

A questa narrazione si è aggiunta la recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha vietato l’uso di criteri etnici nelle ammissioni universitarie, salvo che su base temporanea. Questo clima di ostilità verso la DEI non nasce dal nulla: DEI, ESG e altri acronimi del cosiddetto capitalismo degli stakeholder erano già sotto osservazione. Aumentano i casi di aziende denunciate, come Lululemon e PayPal, per non aver raggiunto risultati tangibili attraverso i loro programmi DEI. Nel frattempo, BlackRock ha annunciato il ritiro dalla Net Zero Asset Manager Coalition, segnando un ritorno agli obiettivi tradizionali sui risultati finanziari, a scapito dell’attenzione verso il clima e l’impatto sociale. Anche sul piano della comunicazione aziendale, le menzioni di iniziative ESG nelle chiamate sui risultati trimestrali sono in calo da oltre un anno.

 

Diversity Manager: un ruolo senza focus

Come advisor, ho avuto l'opportunità di supervisionare da vicino iniziative di Diversità, Equità e Inclusione (DEI), osservando in prima persona l'evoluzione di questo ambito complesso e in costante cambiamento. Il ruolo dei responsabili DEI con cui collaboro all'interno delle aziende è spesso estremamente vasto, richiedendo non solo competenze tecniche, ma anche la capacità di agire come portavoce in contesti molto diversi tra loro.

Questi professionisti si trovano a gestire una molteplicità di sfide: dal supporto a eventi esterni come iniziative legate al pride o manifestazioni per i diritti civili, alla progettazione e implementazione di programmi interni che spaziano dalle assunzioni inclusive allo sviluppo di carriera, dal talent management all’accessibilità dei luoghi di lavoro. In alcuni casi, il loro ruolo si estende persino alla supervisione di attività di team building o di iniziative ESG, un ambito che richiede competenze e passioni spesso molto diverse da quelle tradizionalmente legate alla DEI.

Tuttavia, stiamo vivendo un momento storico particolarmente critico per i professionisti della DEI. Molti vedono il proprio ruolo esaurirsi rapidamente, o scelgono di abbandonarlo del tutto a causa delle difficoltà nel dargli una forma chiara e sostenibile. Questo problema è evidente sia nelle grandi aziende globali, come Apple — che negli ultimi otto anni ha cambiato ben quattro responsabili DEI — sia nelle realtà più piccole e locali. In media, la permanenza in questi ruoli è sorprendentemente breve e raramente supera i tre anni, una testimonianza delle pressioni e delle incertezze che circondano questo settore cruciale.

 

Abbandonare la DEI è una buona idea?

L’impressione è che abbandonare la DEI sia un’ottima idea… per tutti coloro i cui sforzi sono stati falsi fin dall'inizio, privi di impegno e obbligati dell’effetto moda.

Questo spiegherebbe il proliferare di ritiri dai programmi DEI e la breve durata incarica dei responsabili di questo settore. I comunicati stampa che accompagnano questi annunci spesso evocano più un’abiura di galileiana memoria che una decisione strategica ponderata.

Al contrario, ci sono aziende che dimostrano una volontà concreta di mantenere e far evolvere il proprio impegno verso la diversità, l’equità e l’inclusione. Realtà come Salesforce e Microsoft, nonostante il vento contrario, hanno dichiarato pubblicamente di voler proseguire sulla strada della DEI. Microsoft, in particolare, rappresenta un esempio di continuità e coerenza: il suo Chief Diversity Officer è in carica da ben sette anni, a testimonianza di un impegno radicato e genuino. "Eppur si muove", si potrebbe dire, a conferma che la DEI, se sostenuta con serietà, non è solo una scelta etica, ma anche una strategia vincente.

 

Chi abbandona e chi continua con convinzione

Le realtà che abbandonano i programmi DEI spesso avevano adottato approcci controversi, come:

Questi approcci hanno sollevato dubbi legittimi e hanno alimentato critiche. D’altro canto, le aziende che continuano a credere nella DEI hanno scelto di enfatizzare altri aspetti, come:

Questi ultimi aspetti sono in molti casi già oggetto di tutele di legge, dalla parità salariale all’equità nei colloqui di lavoro e questo significa che sono principi sui cui la società basa il mercato del lavoro.

 

Quote e kpi sono il problema? Spesso si, perché sono fatti male

Il problema, ovviamente, non sono le quote e i target per i manager, ma il modo in cui vengono definiti.

Spesso, nel mio percorso, mi sono trovato davanti a decine di line manager obbligati ad inserire risorse solo per rispettare quote e target imposti dall’alto.

La critica comune riguarda la necessità di dover scegliere tra la persona giusta per raggiungere gli obiettivi di team e quella per rispettare le quote. Ecco, il tema è tutto qui: la dicotomia non deve esistere.

In tutti gli altri campi si creano kpi strumentali al raggiungimento degli obiettivi di team e aziendali; nel contesto della DEI, spesso manca un collegamento diretto tra gli obiettivi generali di performance aziendale e i KPI o le quote da rispettare.

Nel momento in cui, invece, si parte degli obiettivi dell’azienda e si declinano obiettivi sulla DEI che concorrono al raggiungimento dei target generali dell’azienda, come per magia, le opposizioni spariscono e la DEI diventa utile.

 

L’attacco alla DEI è puro opportunismo

L’attacco che oggi sta subendo la DEI a livello di dibattito pubblico contesta la creazione di “corsie preferenziali” di opportunità per specifiche minoranze, come se il mondo fosse stato finora un paradiso meritocratico e la DEI un’invasione arbitraria di giustizialismo. È importante chiarire che non è così, e ridurre le iniziative DEI a una semplice distribuzione clientelare di privilegi significa fraintendere volutamente il loro scopo, la loro necessità e ignorare le sfide strettamente economiche che i contesti sociali delle economie sviluppate stanno affrontando.

Da un lato, lo scopo è semplice: un mondo con pari opportunità è il mondo in cui vogliamo vivere, più equo e che punta sulla vera meritocrazia. Dall’altro la necessità è intuitiva, anche se non per forza conosciuta a tutti: l’inverno demografico porterà la popolazione giovane, la forza lavoro del futuro, a essere sempre di meno. In Italia nei prossimi 10 anni avremo il 20% in meno di persone tra i 20-30 anni. Inoltre, la competizione globale per i talenti (che in Italia si concretizza in una fuga di cervelli ogni anno) impone già oggi alle imprese di saper ampliare la base di persone potenzialmente reclutabili. La partecipazione al lavoro dovrà essere la più alta possibile e questo potrà accadere solo se le organizzazioni sapranno essere attraenti e accoglienti per ogni categoria sociale. Non è solo giusto: è necessario, se vogliamo continuare a vivere in società che premiano il talento e mantengono uno sviluppo umano trai più alti al mondo. Il vero fallimento non è nelle difficoltà della DEI, ma nell’incapacità di coglierne il valore.

 

Quale futuro ci aspetta? La grande opportunità per i DEI manager

Nei prossimi mesi, quindi, assisteremo a molti cambiamenti, nuove ondate di tifoseria da stadio pro e contro DEI, ma potremo vedere anche un cambiamento nella dialettica della DEI.

HR Manager e DEI manager hanno l’occasione di ricalibrare le attività in modo pragmatico, con una narrativa diretta ed efficace, mettendo in luce il collegamento - che per chi come me lavora sulla DEI da anni è evidente -tra sane politiche di inclusione e migliori risultati aziendali.
La DEI è a un bivio: sparire del tutto o diventare un acceleratore di performance.

Probabilmente vedremo qualche awards in meno, ma azioni concrete e misurabili, progetti e iniziative che veramente faranno la differenza per aziende, dipendenti e clienti.