La storia, infatti, ci insegna che l’inclusione che conosciamo oggi è un diretto riflesso dei valori e delle sfide che hanno caratterizzato la società attraverso i secoli, ed è un concetto che si è evoluto nel tempo, rispecchiando i cambiamenti che sono avvenuti nella società.
Senza andare troppo in là nel passato, basti pensare a programmi televisivi o a battute che qualche anno fa passavano inosservate e oggi invece vengono criticate: non si tratta di essere diventati “più rigidi”, ma di un processo di cambiamento della forma mentis delle persone e della società.
Facciamo un salto nel passato, basandoci su quello che è successo in Italia negli scorsi decenni. Quali sono le conquiste che nel corso del tempo hanno portato a una maggiore inclusività? Ecco qualche esempio che simboleggia i passi in avanti che sono stati fatti nel corso del tempo e il cambiamento di paradigma che la società e le organizzazioni hanno dovuto affrontare.
Cos’hanno in comune tutte queste conquiste? Il medesimo bisogno: includere maggiormente una categoria e avere maggiore parità e uguaglianza tra le persone e nella società.
E oggi? In che posizioni si trovano le organizzazioni? Sicuramente non possono più ignorare la necessità di programmi di D&I, ma devono fare attenzione a non cadere nella trappola del “Diversity washing”: dichiarazioni poco approfondite, iniziative di facciata, comunicazione sull’argomento sporadica e soltanto in occasione di giornate internazionali (es. mese del Pride, giornata mondiale per le persone con disabilità, giornata internazionale contro la violenza sulle donne) rischiano di essere pericolose e di non affrontare realmente il problema.
Quello che, da subito e con cognizione di causa, le organizzazioni dovrebbero fare è implementare percorsi di Diversity & Inclusion. Le modalità sono molteplici, ma per non andare a tentativi, la metodologia migliore sarebbe quella di partire da un’analisi della “propensione all’inclusività” dei propri lavoratori, per poi introdurre programmi formativi ad hoc, creati per rispondere alle specifiche esigenze, e policy organizzative che puntano alla creazione di una cultura veramente inclusiva.
Per “fare cultura” e creare una società e delle organizzazioni più inclusive, non bisogna soltanto lavorare sulle conoscenze: bisogna fare breccia nei comportamenti, nel non detto, nei pattern comportamentali e nei pregiudizi anche non espliciti che le persone hanno. Per questo motivo, il percorso verso una sempre maggiore inclusione è lungo, complesso e delicato.
Immaginiamo un obiettivo ancora lontano; pensiamo a “un uomo vitruviano” aggiornato alla realtà attuale: se non ci riuscite, se non riuscite a dargli caratteristiche specifiche, avete colto esattamente il punto. Non esiste più l’immagine di Da Vinci, perché sono richieste una capacità di analisi del mondo e una sensibilità in perenne evoluzione.
Per concludere, l'attenzione crescente e gli strumenti innovativi devono guidare le aziende attraverso un percorso di trasformazione culturale, perché è il primo passo per creare una società migliore.
Per questo diventa un vero e proprio imperativo: l'inclusività è non solo un obiettivo da raggiungere ma un valore che permea ogni aspetto della vita e del lavoro.