La Legge nella teoria vede un’attuazione semplice: ogni impresa (pubblica o privata) deve avere tra i propri dipendenti il 7% di persone con invalidità e un ulteriore 1% di categorie protette (orfani e coniugi di morti di guerra, per lavoro e categorie assimilate).
Con una Legge così chiara e 25 anni a disposizione per metterla in pratica, sarebbe logico pensare che oggi l’Italia sia il faro che guida le altre nazioni nell’inclusione delle persone con disabilità, non solo dal punto di vista legale ma anche da quello sociale.
Nonostante però l’acume dimostrato dalla nostra Legge, ancora così non è: la disoccupazione tra le persone con invalidità è quasi del 70% (circa 10 volte il dato nazionale, fonte Istat).
Per capire quanto sia necessario un impegno ulteriore da parte delle organizzazioni, ecco alcuni dati:
Un meccanismo su carta perfetto, ma che si è inceppato nell’attuazione pratica. Ma perché? Il tema è complesso e una soluzione semplicistica e non a 360° nelle organizzazioni risulta incompleta e non efficace.
25 anni, comunque, di crescita: è innegabile che negli ultimi anni la cultura dell’inclusione e dell’integrazione in Italia abbia fatto enormi progressi. Questo perché le aziende sono sempre più consapevoli del valore dell’inclusione, e al contempo sono alla ricerca costante di talenti tra i professionisti con invalidità, perché è ormai evidente il forte valore aggiunto che portano sia in termini economici, sia (e ancor più) a livello culturale e di mindset aziendale.
Michael Luciano, Director di WINclusion, parla della sua esperienza sul tema: “Negli anni ho incontrato realtà estremamente diverse: alcune organizzazioni stanno cercando di staccarsi dalla vecchia mentalità che vedeva l’assunzione di categorie protette come un “problema da risolvere”, altre sono già proiettate all’inclusione vera e propria. La maggioranza delle aziende però le ho trovate spinte dal desiderio di muovere i primi passi su un percorso complicato, ma di valore come quello della D&I. Il nostro intervento è arrivato in un momento cruciale per queste realtà, preoccupate di non essere pronte o di commettere errori durante il cammino”.
La Legge 68/99 è stato un punto di partenza: è importante proseguire oggi poggiando l’attività su due grandi pilastri: da un lato la cultura dell’inclusione, dall’altro nuove leggi e certificazioni.
Oggi abbiamo una grande opportunità: vivere in un momento di svolta sulla D&I e sulla disabilità nello specifico. Siamo infatti in un momento storico in cui la consapevolezza del percorso fatto si unisce con la speranza di poter cambiare le nostre realtà, dove le organizzazioni che oggi scelgono di investire in questa direzione lo fanno con la serenità di aver chiara la direzione da intraprendere e con la fortuna di poter essere ancora tra i pionieri del nuovo mondo.
In un futuro non troppo lontano, la D&I e l’inclusione dei professionisti con disabilità non saranno più un tema di eccellenza, ma al contrario (come sta già avvenendo per altri diritti) verranno considerati elementi essenziali per poter sussistere.
Ecco perché quest’anno, proprio in occasione dei 25 anni della Legge 68/99, diventa ancor più fondamentale e significativo agire concretamente sulla disabilità e sulla cultura dell’inclusione in azienda, con la speranza che le organizzazioni si impegnino il più possibile a questo proposito, auspicando di poter tornare a parlarne al trentesimo anniversario con ben altri numeri alle spalle.