Annunci di lavoro: indicare la RAL sarà obbligatorio

Si tratta di una direttiva del Parlamento Europeo che ha l'obiettivo di garantire una maggiore trasparenza salariale, ma che va in direzione di una vera parità retributiva tra uomini e donne.

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Annunci di lavoro: indicare la RAL sarà obbligatorio

Ma cosa significa, in pratica?

Retribuzioni più trasparenti vuol dire che le aziende con più di 100 dipendenti saranno obbligate a correggere le loro disparità salariali, per ridurre il divario retributivo di genere nell’UE, che attualmente è al 12,7%. Gli Stati membri hanno tre anni di tempo per implementare la direttiva nelle leggi nazionali.

Una notizia che sta facendo molto parlare, e che ha un riverbero importante in un'azienda come W Executive, dove la trasparenza è fondamentale: noi ci crediamo a parole e nei fatti, tanto che pubblichiamo da sempre le RAL nei nostri annunci. Inoltre, sin dal primo post, abbiamo evidenziato in termini percentuali sia la presenza di donne in generale sia la presenza di donne a livelli apicali.

Ma questa direttiva cosa cambierà - e come - nel nostro lavoro?

Se già ora si devono evitare discriminazioni e raccomandazioni, sicuramente in futuro crescerà l'attenzione nel fare una valutazione sempre più profonda sulle competenze: e se si alza l'attenzione alla selezione, ci aspettiamo di conseguenza una crescita del nostro settore.

Pietro Valdes, CEO & Founding Partner di W Executive, analizza a fondo la direttiva europea.

"Questa direttiva si articola su punti totalmente condivisibili a livello teorico, ma con delle applicazioni che possono creare delle criticità legate ad alcuni settori o a diverse culture nazionali", commenta Valdes. "Facciamo un esempio pratico: il non potere chiedere la retribuzione di partenza - come il non essere obbligati a dichiarare l’età - fa parte di una cultura legata alla gestione HR di grandi aziende multinazionali, tipiche del mondo anglosassone. In queste strutture la pianificazione delle attività e la definizione di un "ruolo" è molto quadrata, e quindi la direttiva va incontro al riconoscimento delle capacità di una persona", continua Valdes. "L’Italia però ha un tessuto industriale di piccole e medie aziende, dove l’eccellenza è legata alla capacità imprenditoriale e alla creatività. In questo contesto rischiamo di avere un mismatch fra potenziali candidature e ruoli rischiando di creare diffidenze nelle assunzioni."

E l'accesso ai dati disaggregati delle RAL?

"una simile considerazione è ipotizzabile forzando a rendere disponibili i dati disaggregati delle RAL: diventerà una competizione tra aziende, che però faticheranno a valorizzare elementi di welfare,  come la presenza di uffici di un certo tipo o di benefit come le auto. Le aziende si troveranno dunque a fare bene i conti con il bilancio e forse a penalizzare progetti esistenti di revamping degli ambienti di lavoro, che sono temi altrettanto attuali e sui quali il tessuto industriale italiano ha ancora molto da fare e su cui investire", continua Valdes, che pone l'accento sulla cosa più importante: le relazioni umane. "Oggi sempre più aziende cercano di andare incontro nei loro ‘pacchetti retributivi’ alle esigenze dei loro singoli dipendenti, per potere permettere un maggiore equilibrio di vita personale/professionale - per esempio inserendo in modo chiaro nella proposta il tema smartworking e in che misura; pertanto a mio avviso cercare di creare una ‘parità oggettiva’ va in contro tendenza".

Valdes è totalmente allineato sull'evidenziare il gender gap sui ruoli: "Questo lo facciamo già dal giorno uno di W Executive, oltre al fatto che ogni ruolo deve avere un range retributivo con un percorso di carriera chiaro ed esplicitato nei suoi passaggi. Da sempre evidenziamo la RAL in tutti gli annunci, che però può essere solo indicativa per le ragioni sovraesposte", continua Valdes.

E sulle disparità salariali?

"Sull’obbligo a correggere le disparità salariali, devo dire quello che penso da tempo: in 25 anni di questo lavoro nessuna azienda con cui ho avuto la fortuna di lavorare ha fatto offerte diverse discriminando per il gender. Inoltre, come si dovrebbero gestire le ‘disparità salariali’ di gender che si andassero a incrociare con la possibilità di lavorare (magari da remoto) in zone geografiche completamente diverse? È chiaro che la questione rappresenta un problema, ma ribaltarlo sulle aziende non è la soluzione.

Il problema nasce invece dalla gestione della famiglia e in particolare dei figli, ed è una questione sia culturale (purtroppo), sia privata, perché ci sono diverse donne che vogliono fare le mamme - ed è una scelta legittima, che va accolta senza giudizi", continua Valdes. "La questione culturale è in capo all’educazione, e ci vorrà tanto tempo per una società come quella italiana ad avvicinare il livello dei Paesi nordici, che sono avanti anni luce rispetto a noi. Consideriamo poi il fatto che soprattutto nelle grandi città ci troviamo di fronte ad asili nido e scuole dell'infanzia dai costi importanti, con poi la necessità di avere babysitter per gestire le criticità: questa situazione porta tanti a scegliere di rimanere a casa o ad accettare compromessi lavorativi a favore della famiglia. Se storicamente (e qui che si entra nel triste loop) è l'uomo che è portato a guadagnare di più, ecco che spesso (che non vuol dire sempre, beninteso) è la donna a rinunciare alla professione", conclude Valdes.